A pochi giorni dal suo record alla 100km di Millau, abbiamo incontrato Stéphanie Gicquel. Atleta, scrittrice, avventuriera, che ci ha parlato con la sincerità e la precisione che la caratterizzano, condividendo con noi il suo modo di vivere le competizioni ad alto livello: tra curiosità, rigore e voglia di spingersi sempre un pò oltre.
Un'esploratrice prima ancora di diventare un'atleta
Da bambina passava ore a provare, fallire e ricominciare. « Potevo trascorrere sei ore a provare a ripetere i movimenti che vedevo in televisione, in ginnastica o sui rollerblader », racconta. La corsa a piedi, all'epoca, non l'interessava: « Per me era solo una questione di mettere un piede davanti all'altro, non vedevo la tecnica. » Anche allora, esplorava inconsapevolmente, a modo suo, alla ricerca della complessità del movimento, della bellezza del gesto, della sfida da superare.
Molto rapidamente questo gusto dell'esplorazione si è spostato verso nuovi orizzonti: studi, letture, incontri. Un'altro modo per liberarsi. « Consideravo gli studi un modo per scoprire il Mondo », confida. Poi sono arrivati i viaggi: il fascino dei deserti, dei grandi spazi, dei viaggi on the road in America e in Australia. « Le immagini mi facevano venire voglia di andarci, volevo andarci », dice semplicemente. Esplorare è sempre stato un modo per imparare, capire, crescere.
Esplorare il mondo, certo, ma anche comprendere se stessi, mettere alla prova i propri limiti mentali e fisici. "Avevo la sensazione che se non mi fossi mossa, non avrei avuto successo." Stèphanie va avanti sempre con la stessa curiosità: la curiosità di imparare.
Impararare a correre da sola: Un'autodidatta del movimento
L’attuale membro della Nazionale Francese di Ultramaratona non è cresciuta in un ambiente sportivo: « Le società di atletica mi erano completamente estranee. » Ha scoperto la corsa da sola, senza una struttura e un allenatore, spinta dal bisogno di muoversi. I suoi primi pettorali gara sono stati acquistati per sfizio. « Non ricordo bene quali siano stati i primi pettorali gara. Erano solo per correre, senza stress da performance», solo per sorridere.
La corsa prese piede nella sua vita quando la sua carriera professionale diventa particolarmente esigente. Lavorava molte ore, dormiva poco, correva fino a tarda sera. « Potevo uscire dall'ufficio alle 23:00 e andare a correre », ricorda. Correre divenne uno sfogo, un momento d’ossigeno. Nuotò anche, per molto tempo « Adoravo guardare le corsie in basso (nelle piscine), era un modo per schiarirmi le idee ».
Di quegli anni intensi, aveva sempre una frase in testa: « Qualunque cosa tu faccia, falla bene. » Anche senza obiettivi di performance, era già alla ricerca di movimenti giusti, della disciplina nel divertimento. Guardando indietro, ne trae una lezione: « Oggi direi a tutti gli studenti di non rinunciare allo sport. Siamo più efficaci quando continuiamo a muoverci. » Lo sport per lei è diventato un pilastro di stabilità, un modo per conoscere se stessa in una vita quotidiana frenetica.
Alte prestazioni o l'arte della resistenza
Raggiungere i massimi livelli è stato quasi naturale, come la logica psosecuzione di anni di esplorazioni e apprendimento. « La competizione è arrivata più tardi », conferma. Per molto tempo, Stéphanie ha corso per ricaricarsi, prima di strutturare il suo allenamento e di comprendere gradualmente le capacità del suo corpo. E' stato a questo punto che lo sport ha smesso di essere una valvola di sfogo ed è diventato un vero progetto performante.
« Una buona performance, è un'opportunità irripetibile. La vera sfida nello sport d'èlite è mantenere quel livello performante », afferma. A 43 anni, ha trasformato la sua esperienza in risorsa. Conosce il suo corpo, e ne ascolta i segnali: « Vedo chiaramente che ho bisogno di recuperare di più, che devo fare molto stretching. Ci sono molte cosa da fare per durare a lungo. » Il suo approcio alla performance è empirico: osservare, testare, aggiustare. E funziona « Ho testato alcune novità prima di Millau, che potrebbero aver persino influenzato le mie performance in rapporto al 2023 » confida.
Anche il cambio allenatore ha segnato un passo significativo. « Ora mi sento molto più a mio agio », sphiega. Questo nuovo approccio più strutturato le ha permesso di affrontare il carico di lavoro in modo diverso. « Prima mi concentravo su un volume inferiore, ma correvo molto veloce in pista. Ora facciamo molte ripetizioni, ma a un ritmo più lento, quindi il mio passo è leggermente cambiato. »
Proseguendo su questa strada, partecipa a studi scientifici sulla fisiologia e la nutrizione degli atleti, insieme ad altri sportivi di alto livello. Per lei, il progresso si basa sulla curiosità, sulla precisione e sull'osservazione paziente del corpo nel tempo.
Strada, trail o pista: il movimento come filosofia
Rifiutare categorie, opposizioni e gerarchie: è cosi che Stéphanie affronta la corsa a piedi. « E' un peccato metterle una contro l'altra », dice a proposito dell'annoso dibattito tra corsa su strada e trail.
Ogni disciplina apporta qualcosa: la corsa su strada rafforza le ossa, la piste affina la regolarità, il trail sviluppa la propriocezione. « Penso che passare dall'una all'altra specialità sia davvero interessante. Apporta molto, ma bisogna accettare l'impegno a lungo termine. »
Per lei, il trail è una scuola polivalente, « come il decathlon, nella multitudine di cose da fare ». E ogni terreno diventa un banco di prova per osservare il corpo. « Su strada, bisogna essere precisi al secondo. In pista, si lavora sulla regolarità, sui fondamentali.
Nel trail, bisogna adattarsi costantemente al terreno. » Per Stéphanie, correre, è sopratutto impararare ad adattarsi: una filosofia del movimento, prima che una questione di disciplina.
L'attrezzatura come partener della performance
Per la detentrice del Record Francese della 24 ore, la parola "performance" non esiste mai isolatamente: è sempre accompagnata da disciplina, conoscenza e attrezzature. « Se si vuole veramente raggiungere le massime performance, ci sono cosi tanti fattori… » spiega. Dal suo punto di vista, le attrezzature non sono dei semplici accessori, ma degli elementi di fiducia.
Paragona volentieri questo appoccio a quella di una spedizione, un settore che conosce bene avendo attraversato l’Antartide con gli sci per oltre 2.000km. « Quando si parte per una spedizione, bisogna limitare tutti i rischi gestibili. Ci saranno sempre degli imprevisti, ma bisogna fare almeno ciò che si può controllare e gestire. »
Sceglie la sua attrezzatura, lo testa e lo conserva. « Quando trovi qualcosa che ti calza bene, che non ti irrita, che è efficiente perchè ha le tasche nel posto giusto, che si abbina al numero di gara… non vedo il motivo di cambiare. » E' difficile non sorridere ascoltandola: alcuni dei suoi capi di abbigliamento sono usciti fuori produzione più di 5 anni fà, a dimostrazione che un buon prodotto può resistere alla prova del tempo...e chilometri dopo chilometri.
Alla ricerca della gara perfetta, senza mai trovarla
Stéphanie con il passare del tempo ha imparato che la gara perfetta non esiste. « Sogno un pò la gara perfetta, ma non credo la raggiungerò mai. Ci sono troppe variabili nel nostro sport », ammette. Ma è proprio questa impossibilità che la spinge ad andare avanti.
Ogni gara, ogni tentativo, ogni errore è un nuovo tassello di un puzzle che completa un pò di più ogni giorno che passa. « Penso che sia quella speranza che ti fà andare avanti. Se raggiungi l'obiettivo troppo in fretta, ne perdi di vista il significato. »
Per lei, la performance non è mai statica: è una ricerca in movimento, un continuo processo di apprendimento che coinvolge corpo, mente e accessori. Finchè ci sarà qualcosa da capire, continuerà ad andare avanti.
Raidlight condivide questa stessa convinzione: che l'avventura non finisca mai veramente. Testare, aggiustare, ricominciare a produrre, ancora e ancora. Perchè la perfezione non è un traguardo: è un viaggio.
E per prolungare il viaggio, France Télévisions presenta Stéphanie in un documentario : (Stèphanie, il gusto dello sforzo) Stéphanie, le goût de l'effort.



